giovedì 18 aprile 2013

A sud del confine, a ovest del sole: Murakami e la creazione di miti (letterari e non)

Andò via, ma io continuai a bere solo, seduto al bancone. Il locale aveva chiuso, non c'era più nessun cliente e tutto lo staff era tornato a casa dopo aver messo a posto e pulito. Ero rimasto solo. Non volevo tornare subito a casa, telefonai a mia moglie per dirle che avevo dell'altro lavoro da sbrigare, che avrei fatto tardi. Spensi le luci del locale e in quel buio pesto mi misi a bere del whisky. Per non stare a tirare fuori il ghiaccio, lo bevvi liscio.
"Finiremo tutti per scomparire, uno dopo l'altro", pensai. Ci sono cose che svaniscono all'improvviso come se fossero state recise da un colpo secco, mentre altre si dissolvono lentamente, fino a sparire del tutto. Ciò che rimane è solo il deserto.



Basta leggere questa citazione, per restare incantati. Murakami ha un ritmo inconfondibile: l'inchiostro pulsa e ci si trova dentro la sua testa, insieme ai protagonisti, e ci si deve solo abbandonare alla narrazione (che non perde un colpo).
Haruki Murakami ha un pregio: trasformare ogni romanzo in un mondo a sé. Un universo parallelo. I protagonisti hanno, in comune, il fatto di essere tutti un po' fuori dal comune, pur essendo comunissime persone.
Di quale romanzo parliamo, oggi?
Proprio lui, l'ultimissima uscita
Un romanzo che, lo diciamo subito, ha atmosfere uniche, una storia d'amore soverchiante e un protagonista che, per una volta, ha sin da subito una forte coscienza di se stesso.

"A sud del confine, a ovest del sole" viene pubblicato, in Giappone, nel 1992. Segue di quattro anni "Dance Dance Dance", e precede "L'uccello che girava le viti del mondo" (1994-1995). Viene scritto durante una visita di Murakami alla Princeton University negli USA.
Nel 2000 la Feltrinelli lo aveva proposto al pubblico italiano, che adesso gode di una nuovissima edizione Einaudi. La traduzione è quella della prima versione italiana, di Mimma de Petra, con la revisione di Antonietta Pastore per Einaudi. Sulla copertina, a sfondo bianco, risalta un LP che richiama subito un elemento imprescindibile di ogni buon romanzo di Murakami: la musica. Particolarmente importante qui, perché il protagonista fonda e gestisce un jazz bar ad Aoyama (Tokyo), con musica dal vivo. Come effettivamente aveva fatto Murakami prima di diventare scrittore.

Cercherò di fare meno spoiler possibili, limitandomi alle linee generali. Tanto, Murakami sa sorprendere sempre e comunque, pure quando è prevedibile.



La trama. Semplice, lineare (persino prevedibile, da 3/4 del romanzo): Hajime e Shimamoto andavano a scuola insieme, alle elementari. Erano accumunati entrambi dal fatto di essere figli unici, cosa assai rara nel Giappone degli anni Cinquanta. 
Hajime significa "inizio", ed è stato chiamato così perché nato il 4 gennaio, ovvero nella prima settimana del primo mese della seconda metà del Secolo. Un Secolo che Hajime attraverserà raccogliendo successi e soddisfazioni. Infatti, proprio come vuole l'auspicio della data della sua nascita, Hajime durante l'infanzia non conosce né le pene né le privazioni della generazione dei suoi genitori: la Seconda Guerra mondiale, con i suoi drammi e le sue sofferenze, gli resta praticamente estranea. Ma non tutto va come, forse, sarebbe dovuto andare. La piccola Shimamoto era leggermente zoppa, così i due passavano interi pomeriggi a casa di lei, ascoltando i dischi in vinile. Dopo le elementari, si sono separati e, anche se Hajime avrebbe potuto andarla a trovare, non lo ha fatto, credendo che da parte di lei non ci fosse interesse nel continuare a vedersi... 
Il passato viene narrato da un Hajime adesso 36 enne, che si trova coinvolto in una vita felice e piena, con una bella e amorevole moglie, due figlie adorabili, un suocero col pallino del guadagno e disposto a tutto pur di incrementare il benessere della propria famiglia (anche a cose sul filo del legale). Un'esistenza pienamente realizzata, e fiorente, che nasconde però un vuoto: Hajime non ha mai dimenticato Shimamoto, i pomeriggi di innocenza e intimità emotiva passati insieme. Nonostante abbia avuto un'altra ragazza importante, ai tempi del liceo, di nome Izumi (cui ha spezzato il cuore), nonché dopo numerose avventure occasionali, e infine una moglie adorabile, Yukiko....  Shimamoto è rimasta latente in qualche parte del suo cuore. 

Comprensibile che, al riapparire di Shimamoto, la vita di Hajime resti sconvolta, e sia quasi improvvisamente possibile recuperare almeno un'ombra di quello che non hanno mai vissuto. Specialmente perché Shimamoto appare e poi scompare: quando c'è, vuole esserci, e quando non può, non c'è. Hajime non sa niente di lei, che è in grado di offrirle solo un mondo di "forse" e "per un po'". Eppure, lui la ama. E lei ama lui. Tanto che il pianista, al locale di Hajime, suona per loro The Star-Crossed Lovers di Duke Ellington.
Quale sorte è in serbo per due cuori destinati l'uno all'altra?


Il titolo. Nel romanzo viene detto che "A sud del confine" sia il titolo di una canzone del cantante e pianista statunitense Nat King Cole. Riferimento sbagliato, perché la canzone è del 1936, scritta da Jimmy Kennedy e Michael Carr durante un viaggio in Messico. Tuttavia, è il contenuto l'elemento pregnante, visto che la canzone parla proprio di un uomo che, pentitosi di essersi lasciato sfuggire la donna che amava, torna da lei quando è troppo tardi e lei già pronta per sposarsi con un altro. Nella canzone, il rimpianto dell'uomo è dovuto all'aver mentito alla donna che amava: nel romanzo, le menzogne e il senso di colpa sono rivolti alla propria moglie, non a Shimamoto. Uno sdoppiamento che lascia intendere, effettivamente, l'importanza, per Hajime, della donna che ha sposato. 
L'altra parte del titolo del romanzo, "A ovest del sole", si riferisce a una malattia mentale degli Inuit e dei loro territori, che li porta a camminare fino a cadere morti, in direzione del sole che tramonta. Entrambe si riferiscono a quello che non si può più toccare, quello che è perduto. Una nostalgia che trascina via, proprio come un fiume che va diretto al mare, quel fiume che Shimamoto chiede ad Hajime di trovare, per andarci insieme.


Commento. Murakami cammina sulle linee della diversità e dell'eccezionale con la consueta eleganza. Come in molti suoi romanzi, la donna, l'omosessualità, la straordinarietà (che sia un dettaglio nella narrazione o un elemento essenziale nella caratterizzazione di un personaggio) sono miscelati, immersi in una malinconia dolce e nella pacatezza di chi cerca un proprio posto nel mondo, ma porta con sé un qualche marchio innegabile.
A pelle, direi che con "A sud del confine, a ovest del sole" il lettore si trovi di fronte a una piccola scheggia, che ferisce e avvelena. Non si può fare a meno di trovarlo bellissimo e al tempo stesso troppo breve. Come al solito, molti interrogativi restano sospesi e il finale non chiude, anzi: apre al futuro, alla scelta. Murakami si immerge nelle vite dei suoi personaggi, li segue nei momenti di crisi, e poi li lascia andare. 
Che meraviglia.




@ Carla Righetti, Dita d'Inchiostro

3 commenti:

  1. Che meraviglia davvero. Mi hai fatto venire voglia di leggerlo. Murakami è un maestro nel descrivere personaggi e situazioni in cui è davvero facile calarsi, nonostante la distanza tra la sua cultura e quella occidentale

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    1. Murakami potrebbe scrivere la lista della spesa e tu staresti lì a leggerla a bocca aperta, meravigliata da cotanto talento. xD

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  2. Molto bello per le atmosfere e per il taglio introspettivo (d'altronde chiunque abbia a che fare anche con semplici anìme sa che questa è, almeno a mio avviso, una "caratteristica nazionale" dei giapponesi, non disgiunta da una certa malinconia che in effetti abbonda anche qui). Ma a mio avviso l'autore qui non sa decidersi fra il dedicarsi ad un romanzo realistico dalla trama coerente o sfruttare situazioni solo apparentemente realistiche per guidare il lettore in qualcosa di più onirico. E la difficoltà [SPOILER]

    si fa maggiore quando, verso la fine, tutto il mondo descritto e la stessa figura di Shimamoto sembrano collassare su sè stessi sotto il peso dei piccoli misteri di cui l'autore riempie la storia.
    Se è apprezzabile questa sorta di morte e rinascita e si può accettare persino l'improvvisa mutazione di Shimamoto in una sorta di dama nera, l'autore non ci dice nulla che, sul piano della ragione, possa riprendere le fila del racconto. Per questo, lo ammetto, sono rimasto parzialmente deluso

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